non possono essere esclusi gli aumenti di spesa derivanti da sopravvenute disposizioni normative relative all’indennità di vacanza contrattuale, erogata al personale dipendente

 

Visto l’articolo 6, comma 4, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213;

Visto il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, approvato dalle Sezioni riunite con la deliberazione n. 14/DEL/2000 del 16 giugno 2000;

Vista la deliberazione n. 161/2024/QMIG, adottata nella camera di consiglio del 30 maggio 2024, con la quale la Sezione regionale di controllo per la Liguria, in riferimento alla richiesta di parere presentata dal Comune di Genova, tramite il Consiglio delle autonomie locali, ha sottoposto al Presidente della Corte dei conti la valutazione circa l’opportunità di deferire alla Sezione delle autonomie, ai sensi dell’art. 6, comma 4, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, o alle Sezioni Riunite in sede di controllo, ai sensi dell’art. 17, comma 31, del decreto

legge 1° luglio 2009, n. 78, la seguente questione di massima ai fini dell’adozione di una pronuncia di orientamento generale: «se, fermo restando il rispetto del valore soglia di cui all’art. 4 del D.M. del 17 marzo 2020, la percentuale incrementale di cui all’art. 5 possa non tenere conto degli aumenti di spesa derivanti da sopravvenute disposizioni normative relative all’indennità di vacanza contrattuale, da corrispondere al personale dipendente».

Vista l’ordinanza del Presidente della Corte dei conti n. 5 del 5 giugno 2024, con la quale, valutati i presupposti per il deferimento dell’esame e della risoluzione della predetta questione di massima ai sensi del richiamato articolo 6 del decreto-legge n. 174/2012, la pronuncia in ordine alla questione prospettata dalla Sezione regionale di controllo per la Liguria è stata rimessa alla Sezione delle autonomie;

Vista la nota del Presidente della Corte dei conti, prot. n. 5620 del 7 novembre 2024, di convocazione della Sezione delle autonomie per l’adunanza odierna;

Vista la nota del Presidente preposto alla funzione di Referto della Sezione delle autonomie, prot. n. 5622 del 7 novembre 2024, con la quale è stata comunicata ai componenti del Collegio la possibilità di partecipazione anche tramite collegamento da remoto;

Udito il Relatore, Consigliere Francesco SUCAMELI;

PREMESSO IN FATTO

1. Il Comune di Genova ha posto un quesito relativo all’interpretazione dei parametri stabiliti dagli artt. 4 e 5 del decreto ministeriale del 17 marzo 2020 (da ora innanzi, “decreto attuativo”, ovvero “d.a.”). I due articoli disciplinano i limiti alla spesa autorizzabile per nuove assunzioni, nella ipotesi di allocazione del comune nella fascia finanziaria più virtuosa (allocazione al di sotto del “valore soglia medio”) ai sensi dell’art. 33, comma 2, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (c.d. Decreto crescita), convertito dalla legge 28 giugno 2019, n. 58.

Più in particolare, le disposizioni citate contengono le istruzioni attraverso cui misurare la “sostenibilità” finanziaria della spesa di personale e determinare gli spazi finanziari che possono essere destinati ad assunzioni a tempo indeterminato. Ai sensi dell’art. 33, infatti, tale misurazione presuppone il calcolo di un indicatore, ottenuto attraverso il rapporto tra «spesa complessiva [...] e media delle entrate correnti relative agli ultimi tre rendiconti approvati, considerate al netto del fondo crediti dubbia esigibilità stanziato in bilancio di previsione» (da ora innanzi, “coefficiente di sostenibilità”) e la classificazione dell’ente entro fasce di virtuosità, sulla base di due “valori soglia” (uno “medio” ed uno “massimo”, declinati per “fasce demografiche”). In questo modo i comuni vengono classificati in tre fasce di virtuosità. Il quesito viene posto con riguardo ai criteri specificati dal decreto attuativo per i comuni allocati al di sotto del valore soglia medio (c.d. comuni “virtuosi”). L’art. 5 d.a., in particolare, ha definito le percentuali di crescita della spesa di personale destinabile alle nuove assunzioni a tempo indeterminato, entro un range progressivo di 5 anni (2020-2024).

L’amministrazione quaerens segnala infatti di allocarsi al di sotto del valore medio per fascia demografica (art. 4 d.a.), ma di non essere in grado di rispettare il limite dell’art. 5 a causa della normativa sopravvenuta recata dall’art. 3 del decreto-legge 18 ottobre 2023, n. 145 (c.d. decreto “Anticipi”), convertito dalla legge 15 dicembre 2023, n. 191. Tale disposizione, infatti, ha aumentato l’indennità di vacanza contrattuale (prevista dall’art. 1, comma 609, della l. n.234/2021) di 6,7 volte per il solo 2024. Allo stesso tempo, la medesima disposizione consentiva di “anticipare” l’impegno di tale spesa al “2023”, in presenza di idonei e sufficienti spazi di bilanci, diluendo l’effetto dell’aumento della spesa di personale su due annualità. Ad ogni modo, il riconoscimento per legge di tale maggiore indennità ha determinato la crescita della spesa complessiva rilevante per l’art. 5 del d.m.; di conseguenza gli spazi finanziari per nuove assunzioni sono stati assorbiti per spesa per il personale già in servizio.

Ciò posto, l’amministrazione ha chiesto alla Corte territoriale di chiarire se: «fermo restando il rispetto del valore soglia di cui all’art. 4 del D.M. del 17 marzo 2020, la percentuale incrementale di cui all’art. 5 possa non tenere conto degli aumenti di spesa derivanti da sopravvenute disposizioni normative relative all’indennità di vacanza contrattuale, da corrispondere al personale dipendente». Nel prospettare il quesito, il comune ritiene sia possibile escludere tale indennità, valorizzando la ratio dell’art. 3, comma 4-ter del d.l. n. 36/2022, relativo ad altro onere da rinnovo contrattuale. La disposizione, nello specifico, fa una deroga espressa all’art. 33 del d.l. n. 34/2019, con riguardo agli arretrati effettivamente corrisposti a seguito del rinnovo.

2. Nell’esaminare il quesito, la Sezione remittente non ha ritenuto di seguire l’impostazione dell’ente e ha prospettato una diversa soluzione.
Quanto al primo profilo, la Sezione ritiene che la norma richiamata non consenta estensioni a casi analoghi per la specificità dei presupposti, in quanto essa: a) riguarda un peculiare e diverso onere da rinnovo, il quale presuppone che sia stato stipulato il contratto collettivo; b) subordina l’esclusione alla circostanza dell’avvenuta effettiva erogazione dell’emolumento (cassa).

3. Cionondimeno, la Sezione remittente ritiene che l’indennità di vacanza contrattuale possa essere esclusa dai calcoli dell’art. 5 del decreto attuativo per via interpretativa, sulla base di due passaggi logici: a) separando la definizione di spesa di personale rilevante rispettivamente per il calcolo dei limiti dell’art. 4 e dell’art. 5 d.a.; b) estendendo all’art. 5 d.a. (e solo a questo) la definizione di spesa di personale di cui all’art. 1, cc. 557 e ss., della l. n. 296/2006 (che esclude tutti gli “oneri da rinnovo contrattuale” dal calcolo dei parametri di raffronto). A suo avviso, infatti, le due norme stabiliscono due limiti la cui struttura non è assimilabile: l’art. 4 conterrebbe un limite direttamente previsto dalla legge a carattere “dinamico” poiché può essere ricalcolato e aggiornato anno per anno (il rapporto tra entrate correnti e spesa di personale, al netto di alcune componenti).

Diversamente, l’art. 5 del decreto attuativo il quale, con la Tabella n. 2, indica la percentuale di variazione sulla spesa di personale ammessa, ponendo a base del calcolo della variazione la spesa complessiva rendicontata a fine 2018, sarebbe un limite “statico” (cioè a data fissa), e perciò assimilabile a quello previsto dell’art. 1, comma 557 e ss. della l. n. 296/2006 che netta tutti “gli oneri da rinnovo contrattuale”. Per questa via ritiene sia ipotizzabile l’esclusione dell’indennità di rinnovo contrattuale dal calcolo della spesa dell’anno di riferimento.

4. Tanto premesso, la Sezione, in considerazione del tenore letterale delle disposizioni intrepretate e della complessità del quadro normativo complessivo, ha ritenuto opportuno formulare il seguente quesito nomofilattico: «se, fermo restando il rispetto del valore soglia di cui all’art. 4 del D.M. del 17 marzo 2020, la percentuale incrementale di cui all’art. 5 possa non tenere conto degli aumenti di spesa derivanti da sopravvenute disposizioni normative relative all’indennità di vacanza contrattuale, da corrispondere al personale dipendente» e di conseguenza ha richiesto al Presidente della Corte dei conti di valutare l’opportunità di deferire la questione alle Sezioni Riunite in sede di controllo, ai sensi dell’art. 17, co. 31, d.l. 1° luglio 2009 n. 78, o alla Sezione delle autonomie, ai sensi dell’art. 6, co. 4, d.l. n. 174/2012, per l’espressione di una pronuncia di orientamento.

La questione è stata deferita dal Presidente alla Sezione delle autonomie.

DIRITTO

1. In primo luogo, occorre vagliare i presupposti di ammissibilità della questione: da un lato, appare evidente che il quesito insiste su una materia di contabilità pubblica (l’osservanza di un vincolo finanziario di legge al ciclo di bilancio), per altro verso, appaiono sussistere i presupposti oggettivi per la questione di massima. In particolare, la novità dell’interpretazione proposta e il potenziale impatto che tale esegesi potrebbe avere per il complesso del comparto degli enti territoriali, rendono opportuno un pronunciamento idoneo ad assicurare l’uniformità dell’applicazione dell’art. 33 del d.l. n. 34/2019 e del relativo decreto attuativo.

 

2. Nel merito, atteso che la Sezione propone di effettuare una interpretazione sistematica degli artt. 4 e 5 d.a., si deve procedere alla previa ricostruzione del quadro normativo in cui le diposizioni in questione si inseriscono. In particolare, occorre chiarire il rapporto tra la norma primaria di riferimento (art. 33 del d.l. n. 34/2019) e l’altra norma chiamata in causa (art. 1 co. 557 e ss. della l. n. 296/2006) nonché la relazione che intercorre tra queste e l’ancora vigente art. 3, co. 5, del d.l. n. 90/2014.
Quanto alla norma primaria, va in primo luogo ricordato che l’art. 33 del d.l. n. 34/2019 si inserisce nel processo di riforma del sistema delle dotazioni organiche (art. 6, d.lgs. n.165/2011) che l’art 4 del d.lgs. n. 75/2017 ha agganciato al principio di programmazione delle coperture (e di conseguenza, al principio di sostenibilità). Tale programmazione si realizza attraverso il piano triennale dei fabbisogni di personale (PTFP), che deve quindi verificare la compatibilità delle nuove assunzioni con i vincoli di finanza pubblica stabiliti per tale particolare aggregato di spesa.

 

In questa prospettiva, l’art. 33 consente di effettuare una spesa per assunzioni non più fondata sul mero criterio del turn-over; infatti, in presenza di tutte le positive condizioni contemplate dalla nuova disposizione di legge, gli enti territoriali possono spendere per assunzioni a tempo indeterminato in una misura anche superiore a quella prevista dalla previgente regola generale (art. 3, co. 5, del d.l. n. 90/2014, spesa per assunzioni a tempo indeterminato nel limite di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno precedente, c.d. turn-over al 100%).

L’art. 33 ha due contenuti: da un lato, obbliga gli enti territoriali a porre in essere una serie di adempimenti preliminari volti a misurare la “sostenibilità finanziaria” di nuova spesa per lavoro a tempo indeterminato; per altro verso, stabilisce una regola speciale che ha come presupposto il primo adempimento e che può determinare un trattamento più favorevole rispetto alla regola generale (spesa per assunzioni parametrata a limiti percentuali di sostenibilità, anziché al turn-over).

L’art. 33, pertanto, non ha abrogato implicitamente l’art. 3, comma 5, del d.l. n. 90/2014 (art. 15 preleggi). Ciò si desume della specialità dei presupposti applicativi del nuovo tetto ma anche dal preambolo del decreto attuativo che richiama la norma previgente.
Detto in altri termini, l’art. 33 ha stabilito un vincolo speciale che ha priorità applicativa rispetto all’art. 3, comma 5, del d.l. n. 90/2014, in quanto ciascun ente è tenuto a porre in essere i seguenti adempimenti: 1) verifica preliminare degli equilibri complessivi, documentata dalla asseverazione dei revisori contabili; 2) riscontro dei fabbisogni di personale nell’ambito dell’apposita pianificazione di legge; infine, 3) effettuazione di un test per misurare l’incidenza della spesa di personale complessiva sulle entrate correnti (calcolo del coefficiente di sostenibilità).

Si possono perciò determinare due casi: in presenza di tutti i presupposti di legge e di allocazione nelle prime due fasce di virtuosità previste dall’art. 33 del d.l. n. 34/2019, è possibile emanciparsi dalla regola dell’art. 3, co. 5, del d.l. n. 90/2014 ed effettuare assunzioni in base ai nuovi parametri; per contro, in caso di coefficiente di sostenibilità negativo (al di sopra della soglia massima di “virtuosità”), si torna alla regola del turn-over, ma nella misura più restrittiva prevista dallo stesso art. 33 (ossia, sino al 2024, «un turn-over inferiore al 100 per cento. A decorrere dal 2025 i comuni che registrano un rapporto superiore al valore soglia superiore applicano un turn-over pari al 30 per cento»).

 

Qualora poi il coefficiente di sostenibilità dell’ente si collochi nelle prime due fasce, ma manchino gli altri presupposti previsti dall’art. 33 per il trattamento più favorevole, torna ad applicarsi la regola generale dell’art. 3, co. 5, del d.l. n. 90/2014 (cfr. Sezioni riunite in sede giurisdizionale, in speciale composizione, sentenza 11 aprile 2022, n. 7).

3. Una volta chiarita la portata precettiva dell’art. 33 e la sua relazione con il previgente limite alla spesa per assunzioni a tempo indeterminato, occorre precisare quale è il rapporto di tale norma con il vincolo stabilito dall’art. 1, cc. 557 e ss. della l. n. 296/2006. Le norme limitative della spesa per nuove assunzioni a tempo indeterminato (art. 33, d.l. n. 34/2019 e art. 3, co. 5, del d.l. n. 90/2014) presuppongono a monte la sussistenza di una “capacità assunzionale” dell’ente medesimo.

 

Ciò significa che l’ente, prima di applicare il limite alla spesa per assunzioni a tempo indeterminato, deve verificare di avere la capacità finanziaria per maggiore spesa di personale a qualsiasi titolo. Deve, cioè, verificare di avere la “capacità assunzionale” ai sensi dell’art. 1, comma 557 e ss. della l. n. 296/2006, sulla base di una soglia peculiare, costruita dal legislatore senza tenere contro dei vari fattori di evoluzione della spesa nel tempo.

La disposizione, infatti, non si basa sul calcolo di una percentuale progressiva e/o sul riscontro della sostenibilità, ma su un raffronto secco tra due valori di spesa di personale assai lontani nel tempo: da un lato, il valore della spesa nell’ultimo bilancio, dall’altro quello registrato in una data storica indicata direttamente dalla legge (per i comuni di minori dimensioni, ai sensi del comma 562, spesa del 2008; per i comuni di maggiori dimensioni, “soggetti al patto di stabilità”, ai sensi del comma 557-quater, quella media del triennio 2011-2013).

La soglia è un limite oltre il quale non è consentito accrescere la spesa e sussiste un obbligo di riduzione da realizzare nel ciclo di bilancio. Per i comuni di maggiori dimensioni, tra l’altro, il vincolo non opera soltanto sul piano contabile, ma interessa il piano sostanziale della capacità giuridica, limitata da un divieto espresso di assunzioni (comma 557-ter), che colpisce la validità dei contratti.

Di contro, nel caso dell’art. 33, la sanzione è assai meno rigorosa: la legge pone un tetto alla sola spesa autorizzabile per personale a tempo indeterminato; inoltre, il suo sforamento resta presidiato dai principi generali sullo sforamento di limiti di finanza pubblica.
Di conseguenza, la violazione del limite determina soltanto il dovere di recuperare contabilmente la maggiore spesa nei bilanci successivi, come risulta da numerose disposizioni normative (per esempio, per il caso di violazione di un limite di saldo di cui all’art. 9, co. 2, della l. n. 243/2012; per la spesa di personale, cfr. l’art. 40, co. 3-quinquies, d.lgs. n. 165/2001 come modificato dall’art. 11, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 75/2017) ed arresti giurisprudenziali (in giurisprudenza cfr. Sez. reg. controllo Campania, decisione n. 172/2019/PARI; Sez. reg. controllo Basilicata decisione n. 42/2020/PARI; Sezioni riunite in sede giurisdizionale, in speciale composizione, sentenza 7 giugno 2023, n. 8; sul recupero contabile delle risorse della contrattazione decentrata, Sez. reg. controllo Campania, decisione n. 180/2024/PARI).

 

4. Tanto chiarito, è evidente che la programmazione della spesa di personale a tempo indeterminato (“quantum” della capacità assunzionale per tale tipologia di rapporti, ai sensi dell’art. 3, co. 5, del d.l. n. 90/2014, ovvero, dell’art. 33 del d.l. n. 34/2019) avviene logicamente in modo successivo alla verifica del rispetto del limite di cui all’art. 1, comma 557, l. n. 296/2006 (verifica dell’“an” della capacità assunzionale). Gli enti territoriali, pertanto, devono dare alle norme prese in considerazione una applicazione cumulativa (ex multis, cfr. Sezione di controllo per la Regione siciliana n. 111/2022/PAR; Sezione regionale di controllo per la Campania n. 208/2021/PAR; Sezione Regionale di controllo per la Lombardia, n. 164/2020/PAR, nonché questa Sezione delle autonomie, n. 4/2021/QMIG). Si tratta perciò di limiti diversi, ma cumulativi e ad applicazione “successiva”. In particolare, l’ente territoriale è tenuto: a) in primo luogo, a riscontrare il rispetto del tetto di cui all’art. 1, co. 557, l. n. 296/2006; b) in secondo luogo, ad effettuare gli adempimenti e le verifiche dell’art. 33 del d.l. n. 34/2019, per accedere alla disciplina contabile di maggior favore della assunzioni in base alla “sostenibilità finanziaria”, pena l’applicazione della regola del turn-over, nella percentuale del 100% della spesa (se applicabile l’art. 3, co. 5, del d.l. n. 90/2014) ovvero, di quella più restrittiva prevista dallo stesso art. 33, in caso di allocazione del coefficiente al di sopra del valore soglia “massimo”.

 

Che il rapporto tra le due norme sia quello che qui si riporta risulta non solo da elementi logico-sistematici, ma anche da elementi letterali. L’art. 7 del decreto attuativo, infatti, per evitare un paradosso normativo, stabilisce che la “maggiore spesa” autorizzabile ai sensi dell’art. 33 non può, ove effettuata, determinare ex post la violazione dell’art. 1 della legge n. 296/2006 (con conseguente illegittimità sopravvenuta della stessa spesa). Detto in altri termini, l’art. 1, comma 557 e ss. della l. n. 296/2006, non funge da cap alla spesa per assunzioni a tempo indeterminato. Ai sensi dell’art. 33 del d.l. n. 34/2019, l’unico tetto a tale spesa è il valore-soglia stabilito per fascia demografica sulla base del rapporto tra entrate correnti e spesa di personale complessiva.

5. Così ricostruito il quadro delle disposizioni che “sistematicamente” interagiscono con l’art. 33, va altresì rammentato che tale disposizione si basa su un evidente principio di specialità (e differenziazione) rispetto agli altri limiti di legge vigenti, connotazione che emerge non solo dagli elementi già passati in rassegna, ma anche dalla tecnica normativa utilizzata. Come evidenzia la Sezione remittente, infatti, parte del suo contenuto e alcuni elementi della sua fattispecie sono stati definiti attraverso una fonte normativa delegata (un decreto interministeriale dei Ministri della pubblica amministrazione, dell’economia e finanze, dell’interno).
L’analisi del rapporto tra fonte primaria e secondaria (recte, terziaria) evidenzia che il decreto attuativo si configura come un regolamento interministeriale di attuazione ed integrazione (ai sensi dell’art. 17, co. 1, lettera b) e co. 3, legge n. 400/1988) e non costituisce un mero regolamento di esecuzione ai sensi dell’art. 17, co. 1, lett. a) e co. 3 l. n. 400/1988). Più nel dettaglio, l’art. 33 ha delegato a tale decreto: 1) l’individuazione delle fasce demografiche e dei relativi valori-soglia (artt. 4 e 6 d.a.); 2) la determinazione delle «percentuali massime annuali di incremento del personale in servizio per i comuni che si collocano al di sotto del valore soglia prossimo al valore medio» (art. 5 d.a.); 3) implicitamente, per effetto dei primi due contenuti, la specificazione degli elementi che contribuiscono alla determinazione della “spesa complessiva” nel rapporto tra spesa di personale ed entrate correnti (al netto del fondo crediti di dubbia esigibilità stanziato in bilancio), utilizzato per costruire i valori-soglia (art. 2 d.a.).

Il rinvio al tale fonte, inoltre, è permanente, in quanto l’art. 33 dispone che “I predetti parametri possono essere aggiornati con le modalità di cui al secondo periodo ogni cinque anni” (cfr. art. 7 d.a.).
Tale scelta di tecnica legislativa, sul piano delle fonti, è evidentemente indicativa della volontà del legislatore di riservare alla sede regolamentare la definizione del sistema di calcolo del coefficiente di sostenibilità e dei limiti percentuali di incremento ammessi, differenziandosi da norme e altri tetti vigenti.

 

6. Tanto premesso sul quadro normativo di riferimento, va ricordato che la questione di massima investe, in particolare, l’art. 5 del decreto attuativo, e di riflesso l’art. 4. La Sezione remittente propone di applicare per le due disposizioni una diversa definizione di “spesa di personale”.

Le due norme, tuttavia, operano in modo inscindibile e combinato e rinviano entrambe alla stessa definizione di “spesa di personale” (art. 2 d.a.).
Va innanzi tutto evidenziato che a limitare la spesa è l’art. 5 d.a. mentre l’art. 4 d.a. svolge un’altra funzione.

In particolare, l’art. 5 d.a. ha eseguito la delega della fonte primaria in punto di determinazione delle “relative percentuali massime annuali di incremento del personale in servizio per i comuni che si collocano al di sotto del valore soglia prossimo al valore medio”. In questo modo, l’art. 33 ha stabilito due principi: a) che la crescita della spesa è ammessa entro limiti percentuali incrementali, cioè progressivi, entro un arco temporale quinquennale allo scadere del quale i limiti possono essere revisionati (art. 7 d.a.); b) che tale progressione si arresta dinanzi al tetto del valore soglia medio, stabilito per classe demografica.

Sicché, l’art. 4 viene richiamato dallo stesso art. 5 non per stabilire un limite autonomo, ma per completare le previsioni sui limiti percentuali ai sensi di legge. Di conseguenza, l’art. 5, da un lato, con la Tabella n. 2, definisce i limiti di incremento della spesa e, per

altro verso, completa la previsione indicando il cap ai sensi dell’art. 33, dettagliato dall’art. 4, per classe demografica.
Riassumendo, la funzione attuativa dell’art. 4 d.a. non è stabilire un limite autonomo, ma consentire la classificazione preliminare degli enti nelle tre fasce di virtuosità declinate dalla norma primaria; è l’art. 5, invece, che adempie al compito di fissare il “limite percentuale”, attraverso un tasso di crescita a struttura “doppia” (percentuale di incremento annuale in Tabella n. 2 e correlato tetto indicato nella Tabella n. 1 dell’art. 4 d.a.). Di conseguenza, l’art. 5 e l’art. 4 costituiscono un unitario disposto normativo, inscindibile, come risulta, ex littera, dal richiamo reciproco effettuato tra le due disposizioni.

Quanto alla individuazione della base di calcolo dell’incremento in un dato storico (la spesa del 2018), ciò appare necessario per dare attuazione al principio di progressività imposto all’art. 5 dall’art. 33 del d.l. n. 34/2019. La norma attuativa ha quindi definito le “relative percentuali annuali di incremento” come una variazione della “spesa di personale complessiva, al lordo degli oneri riflessi a carico dell’amministrazione”, calcolata sulla “spesa del personale registrata nel 2018, secondo la definizione dell'art. 2”, ossia la data di rendicontazione più prossima alla data di emanazione del decreto attuativo.

In definitiva, l’art. 5 d.a. individua un range quantitativo e temporale di espansione della spesa di personale (la Tabella n. 2, per il periodo 2020-2024), con un “tetto” individuato nei valori della Tabella n. 1. Tale incremento, per disposizione diretta della norma primaria, deve essere progressivo (rispetto ad una data di calcolo iniziale la cui individuazione è rimessa dal legislatore al decreto attuativo), flessibile (aggiornabile ogni cinque anni), doppio (limite annuale combinato col tetto del valore soglia medio).
In ragione di tale tecnica normativa (imposta dall’art. 33), non è possibile effettuare una lettura separata degli articoli 4 e 5 d.a., riferendo alle due disposizioni una diversa definizione di spesa di personale. Le due norme, infatti, si “tengono ferme” a vicenda e disciplinano calcoli che pongono alla loro base lo stesso aggregato di spesa, definito, in modo omogeneo, dall’art. 2 d.a.

 

7. Sia la norma primaria che il decreto attuativo, pertanto, non consentono di escludere gli oneri da rinnovo contrattuale dal calcolo dell’art. 5 d.a, essendo la spesa di personale rilevante onnicomprensiva.
Non può essere infatti ignorato che l’art. 33 del d.l. n. 34/2029, a differenza dell'art. 1, cc. 557 e seguenti della legge n. 296/2006, si riferisce espressamente alla spesa “complessiva”, laddove il primo limite, invece, prende in considerazione una definizione netta dell’aggregato (diminuito, appunto, dagli “oneri da rinnovo contrattale”). Del resto, come è stato evidenziato dalla giurisprudenza contabile, le limitazioni di spesa del personale si basano su definizioni dell’aggregato che variano a seconda degli specifici effetti e scopi che il limite intende perseguire (SS.RR. di controllo, del. n. 27/2011, punto 6 in diritto).

Anche il decreto attuativo fornisce elementi letterali in tale senso. In particolare, l'art. 2 d.a., definisce la spesa di personale come il valore degli «impegni di competenza per spesa complessiva per tutto il personale dipendente a tempo indeterminato e determinato, per i rapporti

di collaborazione coordinata e continuativa, per la somministrazione di lavoro, per il personale di cui all'art. 110 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché per tutti i soggetti a vario titolo utilizzati, senza estinzione del rapporto di pubblico impiego, in strutture e organismi variamente denominati partecipati o comunque facenti capo all'ente, al lordo degli oneri riflessi ed al netto dell'IRAP, come rilevati nell'ultimo rendiconto della gestione approvato» (enfasi aggiunta), senza esclusioni.

A conferma dell’inscindibilità normativa degli artt. 4 e 5 d.a., tale definizione è richiamata espressamente da entrambe le disposizioni: non è quindi possibile applicare all’art. 5 d.a., una definizione di spesa di personale diversa da quella utilizzata per l’art. 4 d.a.

Infine, in coerenza con il quadro normativo qui rappresentato, la circolare interpretativa del 13 maggio 2020, emanata di concerto dai ministri della pubblica amministrazione, dell’economia e finanze, dell’interno, chiarisce che «Al fine di determinare, nel rispetto della disposizione normativa di riferimento e con certezza ed uniformità di indirizzo, gli impegni di competenza riguardanti la spesa complessiva del personale da considerare, sono quelli relativi alle voci riportati nel macroaggregato BDAP: U.1.01.00.00.000, nonché i codici spesa U1.03.02.12.001; U1.03.02.12.002; U1.03.02.12.003; U1.03.02.12.999» (enfasi aggiunta).

8. L’onnicomprensività della definizione della spesa di personale rilevante è indirettamente confermata anche da norme primarie successive, che permettono di escludere alcune componenti dal calcolo della spesa “complessiva” di cui all’art. 33 del d.l.

n. 34/2019, introducendo però eccezioni espresse (che quindi non possono essere oggetto di estensione analogica, ai sensi dell’art. 14 preleggi). È il caso dell'art. 3, comma 4-ter, del d.l. n. 36/2022, evocato nella richiesta di parere e riferito agli arretrati del rinnovo contrattuale 2019-2021: l’eccezione, inoltre, si giustifica per l’esigenza di preservare l’effettiva progressività della crescita di personale. La disposizione, pertanto, ai soli fini dell’art. 33, consente di non calcolare gli impegni per gli arretrati che secondo competenza economica si imputano agli esercizi precedenti.

Allo stesso tempo, è evidente che la necessità del legislatore di precisare che tali emolumenti possono essere sottratti dal calcolo dell’art. 33 conferma che la regola generale è diversa e che, appunto, diversamente, il calcolo è onnicomprensivo. Ove invece fosse possibile escludere tutti gli “oneri da rinnovo contrattuale” sulla base di una interpretazione sistematica dell’aggregato di spesa rilevante (ai sensi dell'art. 1, comma 557 e seguenti della l. n. 296/2006) tale norma sarebbe del tutto inutile.

9. Agli argomenti letterali vanno aggiunti gli argomenti teleologici. Infatti, gli oneri da rinnovo contrattuale vengono esclusi dal calcolo della spesa rilevante per l’art. 1, comma 557 e ss., l. n. 296/2006 (e non quello dell’art. 33 del d.l. n. 34/2019) perché le due norme hanno scopi ed effetti differenti.

Obiettivo della prima norma è fissare una soglia oltre la quale non sussiste capacità di spesa (margine finanziario) ulteriore per spesa di personale, a qualsiasi titolo, anche per assunzioni a tempo indeterminato. La rigidità della sanzione, per proporzionalità, comporta una minore estensione del suo presupposto: la definizione dell’aggregato rilevante viene quindi nettata dagli “oneri di rinnovo contrattuale”, considerati: a) la distanza temporale del paramento storico di riferimento (spesa del 2008 o media del periodo 2011-2013); b) la rigidità della tecnica normativa (il paramento è fissato direttamente dalla legge); c) che i termini del raffronto possono essere stati alterati per esigenze di adeguamento del costo della vita. Scopo dell’art 33 del d.l. n. 34/2019, invece, è quello di definire le risorse che possono legittimamente essere destinate, nell’esercizio di riferimento, ad una specifica categoria di spesa per il personale (nuove assunzioni a tempo indeterminato) ed evitare che la spesa per tale tipo di rapporti provochi una eccessiva “rigidità” del bilancio (cfr. circolare 13 maggio 2020 emanata di concerto dai ministri della pubblica amministrazione, dell’economia e finanze, a proposito della funzione dei valori-soglia).


Da questo scopo di minore portata, scaturiscono effetti contabili assai più limitati (mero vincolo contabile alla crescita) che possono essere collegati ad una fattispecie di più ampia definizione (aggregato di spesa del personale onnicomprensivo e limiti alla crescita misurati entro un range temporale quinquennale). In tale contesto, inoltre, il criterio storico di riferimento (spesa rendicontata a fine 2018) non solo implica raffronti temporali ravvicinati (al massimo, 5 anni), ma, grazie alla diversa tecnica normativa utilizzata, può essere aggiornato alla scadenza del quinquennio attraverso il rinnovo del decreto attuativo (art. 7 d.a).

10. Va anche escluso, in termini di ratio, che l’art. 33 sia espressione di un favor generale

per l’espansione della facoltà assunzionale. Se è vero che esso mira «anche [a consentire] l'accelerazione degli investimenti pubblici, con particolare riferimento a quelli in materia di mitigazione del rischio idrogeologico, ambientale, manutenzione di scuole e strade, opere infrastrutturali, edilizia sanitaria e agli altri programmi previsti dalla legge 30 dicembre 2018, n. 145», tale finalità è destinata ad essere realizzata entro lo scopo finanziario principale (ossia verificare la “sostenibilità finanziaria” della nuova spesa e l’accesso al trattamento contabile di maggior favore) senza escludere il maggior rigore del criterio del turn-over ove necessario (comuni di terza fascia; comuni di prima e seconda fascia risulta applicabile la norma generale dell’art. 3, comma 5, del d.l. n. 90/2014).

11. In definitiva, l’analisi del quadro normativo porta ad escludere la configurabilità di una “intenzione” del “legislatore” tesa ad escludere dagli aggregati di calcolo della spesa di personale, rilevante per l’art. 33, dell’indennità di vacanza contrattuale. Ciò in ragione:

  • -  della chiara lettera della legge che formula una nozione di spesa “complessiva”;

  • -  della diversità della ratio, evidenziata dai parametri e degli effetti diversi delle norme richiamate;

  • -  della circostanza che l’art. 33 prevede una riserva definitoria a favore della fonte regolamentare, la quale può liberamente indicare e aggiornare periodicamente i paramenti delle percentuali di crescita della spesa complessiva;

  • -  della considerazione che l’esclusione degli oneri da rinnovo contrattuale prevista dall’art. 1, commi 557 e ss. e 562 della l. n. 296/2006 non può estendersi ad altri tetti

di spesa in quanto non costituisce espressione di un principio generale.

12. Resta impregiudicata la possibilità di effettuare nuove assunzioni nei limiti di cui all’art. 3, co. 5, del d.l. n. 90/2014, ad eccezione di collocazione del comune nella c.d. terza fascia, nell’ambito della quale la facoltà assunzionale per turn-over è inferiore al 100% e, per il regolatore, di stabilire regole più flessibili in ragione della sopravvenienza del c.d. decreto anticipi che ha determinato, per il 2024, un diffuso sforamento dei limiti percentuali di cui alla tabella dell’art. 5 d.a.

11

PER QUESTI MOTIVI

La Sezione delle autonomie della Corte dei conti, pronunciandosi sulla questione di massima posta dalla Sezione regionale di controllo per la Liguria con deliberazione n. 161/2024/QMIG, enuncia il seguente principio di diritto:

«Per gli enti che rispettano il valore soglia di cui all’art. 4 del D.M. del 17 marzo 2020, nella determinazione della percentuale incrementale di cui all’art. 5 non possono essere esclusi gli aumenti di spesa derivanti da sopravvenute disposizioni normative relative all’indennità di vacanza contrattuale, erogata al personale dipendente. Per gli enti che, pur non superando il valore soglia previsto dall’art. 4, non realizzano le condizioni del successivo art. 5 per dar luogo alle assunzioni nel 2024, resta comunque salva la facoltà assunzionale prevista dall’art. 3, comma 5, del d.l. n. 90/2014 da esercitare nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 100% di quella relativa al personale cessato nell'anno precedente».

La Sezione regionale di controllo per la Liguria si atterrà al principio di diritto enunciato nel presente atto di orientamento. Al medesimo principio si conformeranno tutte le Sezioni regionali di controllo ai sensi dell’articolo 6, comma 4, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213.

Così deliberato nell’adunanza dell’11 novembre 2024.

 

 

 


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